Sono perseguitato dagli amanti del porridge. Ne esaltano le virtù, i benefici, il gusto, neanche fosse caviale Almas Beluga accompagnato dalla vodka Wolfschmidt di Riga.
Per chi non lo sa, nella versione basica, si tratta di avena, in fiocchi o farina, bollita con acqua o latte. A questa pappetta si possono aggiungere ingredienti dolci o salati secondo il gusto personale. Beh, perdonatemi, ma il termine “gusto” in vicinanza di questo alimento fa molta fatica ad essere inteso nel modo consueto.
In effetti, di fronte a questa “zuppetta” o quel che vi ricorda, non esistono partiti “moderati” (il “terzo polo”), ma i votanti sono collocati su due soli fronti: o la si ama, o fa ribrezzo.
Con tutta evidenza, dato lo scarso entusiasmo nel tesserne le lodi, appartengo a questa seconda fazione.
I saggi insegnamenti ripetono che non si giudica un libro dalla copertina, sicché non si schifa il porridge dall’aspetto ma va assaggiato, come ho fatto io. Ed ho eseguito questa ‘degustazione’ su alcune versioni che, nelle intenzioni dell’autore, praticamente avrebbero indotto chiunque a sostituire, la mattina, gli Osvego Gentilini tuffati nell’Earl Grey. Ho provato, ma proprio non c’è stato verso di apprezzarne la consistenza collosa, il gusto da omogeneizzato, il retrogusto da pannacotta approssimativa. E mi fermo qui, con l’irriverenza, dato che mi confronto con un 50% di appassionati cultori.
Eppure pare che vada di moda tra gli sportivi (occorre chiedere, ovviamente, a Linus) e ci sono anche insospettabili fan sfegatati. Uno di questi è Bruno Barbieri che, nella serie “4 Hotel”, pare che faccia finta di apprezzare la colazione “continentale” e, dietro le quinte, si faccia preparare una cofana di porridge. Ma forse sono leggende metropolitane, probabilmente destituite di ogni fondamento. Però, Bruno lo preferivo prima, da vivo, al netto della pappetta.
Nel documentarmi – come fanno tutte le persone serie su un argomento ignoto – ho appreso che dire “porridge” significa riferirsi ad un “genere”, le cui sfumature sono innumerevoli. Anzitutto, come detto, esiste sia dolce che salato, a seconda, per l’appunto, delle ‘aggiunte’ alla ricetta di base. E quest’ultima, peraltro, dipende dalla farina utilizzata. Sicché, senza salire su uno scranno, oltre all’avena, abbiamo: farro, miglio, segale, grano, mais, riso, sorgo, etc., e tutte le potenziali combinazioni.
Insomma, a farla breve, alla fine ho compreso che c’è un porridge che piace anche a me, solo che si chiama polenta.