Be Real vs Be Human

Si va affermando un nuovo social: BeReal. Lo spirito “guida” è quello di essere sé stessi, di essere “reali”. La contrapposizione è – con tutta evidenza – con i social “spersonificanti”, in cui l’apparenza regna sovrana.

Il sistema per conferire “realtà” è costituito da alcuni passaggi notevoli: gli “amici” non sono un numero indefinito (come nella vita “reale” non si conoscono decine di migliaia di followers…); si può postare una foto solo una volta al giorno (deciso casualmente dal sistema); la foto riguarda anche cosa c’è intorno a noi; non sono ammessi filtri di alcun genere.

Secondo i promotori, con questo social l’artefazione viene sostituita dalla conoscibilità di un momento di “vita vera”, non alterabile generando, quindi, la condivisione di quello che accade in un preciso momento del giorno.

Disarmante come, senza minimamente accorgersi di ciò, si valicano le vette della banalità. Sii “reale” ha lo stesso senso di “devi essere spontaneo”. Non appena questo imperativo mascherato viene metabolizzato, non è possibile prescindere da esso. La spontaneità invocata, per ciò stesso, non può più essere spontanea. Lo stesso vale per il “reale”: ciò che è reale lo è per un connotato proprio non per un attribuzione “esterna”.

Se ci pensate, infatti, il mio “io” non ancora ritoccato non è affatto più reale della bonazza plasticosa e fillerata. Quest’ultima potrà essere bellissima o terrificante (a seconda dei gusti), ma non c’è dubbio alcuno che sia “reale”. Magari non è “naturale” (cioè come mamma l’ha fatta), ma neppure mia madre sapeva di farmi bello e maratoneta.

Ormai, siamo alla frutta ma, prima, ci raccontano che si è nuovamente inventata l’acqua di fonte. L’unico aspetto positivo di questa sortita “social” è la progressiva deinflazione delle immagini, dei post e di tutti gli accidenti connessi. E’ come una politica “ambientale” (che, poi, è proprio così, se ci si interrogasse, per un momento, sul costo iperbolico delle strutture che gestiscono i social) che mira alla “sostenibilità” del proprio “io”. Meno è meglio? Forse, si.

Mi piace pensare – da idealista – che BeReal insegni a godersi l’attimo, condividendolo solo se abbia dei “connotati” di “valore”: quasi una faccenda “religiosa”, sebbene l’accostamento con le dinamiche social sia da scomunica immediata.

Non è, però, un problema di “realtà”. Il digitale, in altre parole, vuole indottrinarci anche su ciò che è “reale”, con un evidente paradosso: un irreale (il social), spiega ad altri ciò che non è, il reale. Inoltre, toglie il libero arbitrio che deve poter guidare le scelte personali. Il bulimismo dell’iperpresenza social può costituire una libera scelta e si traduce in momenti “reali”, quanto quelli di chi lo fa sapere – se proprio vuole – a pochi intimi o nessuno.

Abbiamo un corrispettivo anche nel podismo. Sono quelli che (a parte piattaforme già organizzate alla bisogna, come strava) non perdono un attimo per “condividere” lo screen del satellitare per far sapere il percorso, il tempo, la velocità, etc. Come se non condividendo queste informazioni, la corsa non sia avvenuta lo stesso. Più che Be Real, preferirei Be Human.

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