Dal possesso all’esperienza

«Oggi corriamo dietro alle informazioni senz’approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l’Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata».

Questo è quanto, in sintesi, ci evidenzia Byung-Chul Han (Le non cose, Torino, Einaudi, 2022) e si fa molta fatica a non dargli ragione su tutta la linea.

Le cose si sono trasformate. Non solo non servono più (solo) per le funzioni per le quali sono state progettate (lo smartphone ne è un chiaro esempio) ma hanno anche assunto una deriva squisitamente esperienziale. “Rappresentano” qualcosa che non si può più toccare. O, meglio, che non serve toccare.

I beni, una volta, venivano associati ad una “etichetta”. Si diceva “beni di consumo” con l’ovvia constatazione che fossero destinati all’appropriazione e poi alla loro “consumazione”. Oggi i beni di questo tipo stanno diventando la netta minoranza del nostro universo.

Non ci credete? Provate ad andare a pranzo in un ristorante stellato. Le porzioni sono il risultato di un lavoro ai limiti dell’alchimia (Ferrand Adrià lo dimostra adeguatamente) ed a tutto servono, tranne che per l’alimentazione. Si consumano, ovviamente, perché vengono ingeriti. Ma non servono realmente al funzionamento dell’organismo, quanto all’appagamento dell’essere. Un’altra forma di alimentazione.

Si dice – a proposito (o sproposito, se vi va) – che si tratta di una “esperienza” e, infatti, si paga un prezzo piuttosto elevato che costituisce la sommatoria di una serie di “cose” non necessariamente alimentari (il servizio, la tecnica, etc.).

Quando partecipiamo ad una gara – e, in specie, va da sé, ad una maratona – spesso ragioniamo in termini di “prodotto”, di “cosa”. Ed allora, discettiamo se siano tante 15 euro per una 10K. Se, al contrario, dal bene, passiamo all’esperienza il valore sul quale ragioniamo cambia totalmente. L’acquisizione della disponibilità di un “percorso” esperienziale cambia decisamente le carte in tavola. Quando mi iscrivo a ColleMar-athon lo so già, per le numerose imprecazioni a suo tempo elevate, che morirò di fatica; ma vuoi mettere la bellezza del percorso? Chi ripete il “Passatore” non pensa ai 100K quanto alle lucciole che ti vengono incontro, la notte, dopo Marradi o al rischiarar del cielo in vista del cartello con scritto “98”.

Per fortuna, social a parte, far parte di un Gruppo sportivo, appartenenza “obbligata” se si voglia correre (lascio da parte la truffa della Run Card, che non è il caso di parlarne), ricostituisce, almeno parzialmente, quel senso di “comunità” che pare perduto. Durante le nostre domeniche comunichiamo la “vicinanza”, spesso senza neppure dire una sola parola, per il fatto di condividere – con la stessa canotta (ma non è necessario) – lo stesso tratto di strada. Sappiamo cosa succede, cosa potremmo dire. Qualche volta lo facciamo, qualche volta ci asteniamo. Anche lasciare le persone al loro “intimo” è parte di una condivisione.

Per chi la propone, la gara è un “servizio”, con tutti i pro e i contro di questa classificazione, mentre per chi l’ha acquistata è, come detto, una esperienza. Buona o brutta non importa se, alla fine, venga in qualche misura condivisa.

Ho ancora un vivido ricordo della Maratona di Venezia (quella c.d. “del nubifragio”, segnata da una vera e propria difficoltà climatica), per la quale tutto può dirsi tranne che fu una esperienza positiva. Eppure, molti l’hanno comunque completata ed oggi, se ripenso a quel giorno, ricordo lo sguardo smarrito dei passeggeri di quel Frecciarossa che, sul Ponte della Libertà, facevano evidentemente fatica a concepire degli autentici scriteriati che correvano sferzati da un vento di acqua e dei bicchieri del ristoro (lontano 3 km)… Eppure il ricordo resta positivo: come accidenti abbiamo fatto? E finisce per prevalere la parte positiva dell’ardimento.

Dai contatti emergono i legami. Ogni volta che corriamo con qualcuno, anche se resta un perfetto sconosciuto, si creano delle comunioni, figuriamoci con i compagni di squadra. Per questi legami non c’è digitale che tenga.

[Nomad, Devotion (Dim Zach Mix); Imagination, So Good, So Right (Dim Zach Remix Edit); Elton John, Sacrifice (KaKtuZ Remix); Foreigner, Urgent (Max Steel Red Alarm Remix)]

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