Guardando i graffiti (Serranda Street Art)

Faccio come voi e, quando corro, mi guardo attorno. Forse non c’è nulla da vedere, ma guardo lo stesso perché, alla fine, non è possibile che l’occhio non si posi su qualcosa.

La corsa di oggi, per esempio, è al Pigneto. Vengo qui per vedere persone. E per vedere immagini.

Le persone sono quelle che “ronzano” attorno all’area pedonale. Certo, sono presenti venditori di sostanze psicotrope (ed i loro clienti) ma i più, per fortuna, sono i “normali” avventori dei locali, in caccia di aperitivi, più o meno “rinforzati”.

Le immagini sono, invece, i numerosi “murales” o graffiti, che dir si voglia.

Accanto a quelli di protesta (i “tag” più o meno comprensibili), i muri e gli oggetti sono teatro delle velleità artistiche (per es. v. Sten & Lex con un interessante utilizzo della tecnica del “negativo” sui cassonetti gialli del recupero dei vestiti alla Garbatella). Occorre però fare attenzione, perché qualcuno (mi riferisco, in particolare, a Geco) è attualmente sotto processo per 36 grandi graffiti. Onestamente, la scritta “Geco” a caratteri di scatola non mi pare granché come arte… se, poi, compare su edifici pubblici/storici qualcuno, giustamente, può prendersela a male.

Senza per forza scomodare Haring, Basquiat o, di recente, Banksy, questi “segni” sono, al di là di un mero giudizio estetico, una particolare forma di libertà nello spazio della città. Servono a dire: “Esisto anche io. Ed ho qualcosa da dire!”

Di recente troviamo anche utilizzi all’insegna dei fenomeni di tipo promozionale. In questo caso, il substrato è costituito dalle serrande degli esercizi commerciali.

Il grigiume del metallo diventa, allora, la tela per rappresentare una “idea” di quello che c’è dietro la serranda stessa, da far uscire all’esterno. Può essere il logo del negozio, oppure una immagine emblematica o, ancora, l’espressione di un concetto astratto. Insomma, come per i mecenati dei tempi che furono, qualcuno commissiona (per una cifra che alla fine non supera i 300 euro), un “segno” che, dietro l’ispirazione propria dell’artista, richiami l’attenzione. Non so se questa politica abbia un reale effetto promozionale ma di certo sortisce altri effetti.

Il primo è quello di dare lavoro a qualche giovane (anche se l’età è irrilevante) che, invece, di rischiare le sanzioni della polizia locale, dispone di uno spazio (lecito) per creare qualcosa.

Il secondo è quello di provare a migliorare l’aspetto delle nostre città.

Quest’ultimo deve essere stato, con tutta evidenza, il ragionamento che ha fatto il Sindaco di una ridente cittadina dei Castelli romani. Il nostro primo cittadino che, per convenzione, chiameremo “Fausto”, ha pensato che una città muore anche per la mancanza di una “storia”, di una “memoria” da presentare (e tramandare). Lo spazio c’è. Basta trovare l’artista.

Grazie al supporto di Gofy (https://www.gofy.it/author/wp_6348878/) chi gira per la città – almeno nella parte “storica” – può vedere rappresentata la cultura propria del “sapere” del territorio. Non solo il richiamo alle attuali funzioni “commerciali” ma anche un “servizio” più astratto e per nulla secondario. In alcune realtà hanno promosso la “banca del ricordo”, costituita dalle testimonianze delle persone che raccontano i valori di un tempo (che, poi, non sono diversi da quelli attuali).

Le serrande della Street art di Colonna sono il corrispettivo della “memoria”. Si va avanti, ricordando i valori e chi li ha impersonificati, ché la storia è fatta dalle persone (per le persone, non per i libri di testo). Non solo da quelle “famose” (quella è la Storia con l’iniziale maiuscola) ma, soprattutto, dalle straordinarie persone “ordinarie”: il falegname, il macellaio, il giornalaio, la pastaia, la tintora, etc. Quelle persone che, sul territorio, hanno costruito la storia che noi viviamo quotidianamente e, della quale, non gli rendiamo, colpevolmente, alcun merito. Noi andiamo in ufficio e non vi è alcuna traccia del nostro passaggio. Loro, al contrario, “vivono” ed “animano” il territorio.

Come si vede, la “promozione” è legata a tutt’altri “valori” creando una di quelle commistioni in cui la somma è grandemente superiore al valore dei singoli addendi.

Quando vedo la foto della serranda della sede degli Oranges, vedo la storia di un manipolo di sconsiderati che ha voluto “identificare” una propria realtà identitaria diversa dalla sua precedente origine. Non migliore, né peggiore, solo autonoma. Legata ad un territorio. E’ lo stesso di quanto abbiamo detto del graffito: “Ci siamo anche noi!”

Quando corro, mi guardo intorno. E leggo le storie di quello che mi circonda. Fatelo anche voi.

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