Memoria della Maratona di Ravenna

Per un eccesso di prudenza, l’alimentazione in vista dell’imminente maratona ha poco più dell’appeal dei monaci stiliti, con sostanza ma senza un briciolo di gusto. C’è, però, sempre una eccezione: la Maratona di Ravenna.

In questa occasione, buttando alle ortiche ogni remora, si banchetta in quel dell’Osteria dei battibecchi con  salumi e tigelle, seguite da tagliatelle (tirate rigorosamente dalla sfoglina) affogate nel sugo. A ciò – che già basterebbe – si abbina, come minimo, una guancia brasata innaffiata da una robusta quantità di Sangiovese.

Pare evidente che si tratti di una maratona del tutto peculiare, almeno quanto a spirito (ed alla dose del medesimo). Questa condotta, al di là di ogni buon senso, non incide per nulla nella performance sportiva, segno inequivoco che le cose fatte “a sentimento” portano solo prospettive positive.

Ravenna è anche la sede in cui si può ricevere una tra le più belle medaglie in termini assoluti. Realizzate a mano – sotto la guida di Anna Fietta – sono dei veri e propri capolavori dell’arte del mosaico rispetto ai quali, perdonatemi, le “cinesate” pressofuse sono distanti secoli luce. Quest’anno si tratta di un “pesce” in leggero tono minore rispetto al passato di ispirazione regale bizantina, ma pur sempre un manufatto notevole.

La gara – come sapete – prevede la distanza dei 10K (ad essere fiscali è un pochino di più: 10,450), della Mezza e la Maratona. La grande partecipazione (complessivamente intesa) permette per i primi 18 chilometri di avere grande compagnia. Dopo i primi 10 chilometri tutti intorno al centro storico, la direzione verso la Basilica di Classe (che costituisce il primo biscottone), inizia a dare il senso di questo che accadrà di lì ad un presso. Ma, al momento, nessuno ci pensa perché, tra andata e ritorno, ci si distrae abbondantemente. In quel perverso ‘curiosare’ verso quelli che transitano dall’altra parte, in attesa di essere noi quelli invidiati.

Quando la Mezza rientra in città, inizia la parte difficile. Si va verso Marina di Ravenna su un tratto, costituito – tra andata e ritorno (ed ecco il secondo biscottone) – da una quindicina di chilometri, che mette a dura prova. Anzitutto si riduce la presenza di podisti in un contesto, va detto, piuttosto alienante; dopodiché le condizioni climatiche (per esempio pioggia o vento avverso) possono fiaccare di molto gli ardori. Il “ritorno”, per chi piace, è in leggera salita fino al Km 38. Dopo è fatta. La gara finisce con un lungo viale in cui le gambe, se reggono, volano verso il gonfiabile.

Si tratta – se ben gestita – di una gara veloce che può dare delle belle soddisfazioni. Dalla cucina alla medaglia, solo poco più di 42 chilometri. E che sarà mai?

[Questa “memoria” è dedicata a Roberto, dal quale ho imparato che un uomo con il cappello non è uguale ad un uomo senza il medesimo]

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