Né testa, né gambe (alla Maratona di Roma)

La Maratona di Roma si apre con il passaggio delle Frecce tricolori, giustamente orgoglio del nostro paese. Quando vedi 9 aerei che, tra loro, si distanziano di meno di 2 metri, capisci che ogni tanto l’uomo è in grado di fare cose straordinarie.

Tutto il contrario del sottoscritto. Senza gambe (cioè con un allenamento inadeguato), ma con la testa (cioè la forza di volontà), alla fine arrivi al traguardo. Senza testa, ma con le gambe, arrivi di sicuro, probabilmente in un tempo molto distante da quello al quale puntavi.

Appare chiaro che in assenza di gambe e di testa, mancano proprio i necessari punti di appoggio.

Va bene – mi dicevo, non particolarmente convinto – la corricchio, ossia più camminata che corsa… certo di essere in grado, nelle difficoltà, di dare il meglio. Invece ho dovuto rilevare di essere molto peggiore di quanto pensassi. Un bancario, analogo a quelli della Silicon Valley Bank. Quando non ci sono riserve, il fallimento è inevitabile.

Inutile dire che la notte prima non ho dormito per nulla, perché – immagino – ciò sia successo almeno alla metà dei partecipanti. Il clima, poi, seppur coperto (ed umido), per correre andava più che bene. Non ci sono scuse che tengano: non mi sono preparato, neppure quel minimo in grado di portarti, seppur a fatica, al Km 30.

Al ristoro del km 9 un podista mi abbraccia, evidentemente scambiandomi per qualcun altro. Attendo i pacer delle 6 ore ma ormai il dado è tratto. Poco prima del km 14, giungono quelli delle 5 ore e 30, guidati dal Comandante. La decisione è presa, la mia maratona, finirà al km 15, sufficientemente vicino per ritornare al Colosseo, da sconfitto. Sonoramente.

Rimugino un pochino. E’ la prima volta che mi ritiro e sono pensieroso. Arriva la Rossa e fornisce una pratica dimostrazione che, in ogni caso, sarebbe stato impossibile star dietro anche a coloro che camminano. Ringrazio di cuore quanti (e non sono stati pochi) hanno comunque provato a farmi cambiare idea. Ma, per quanto ti impegni, non si può rianimare un cadavere.

Tolto e cestinato il chip, ripiego mestamente, costeggiando l’ultimo tratto del percorso (ed ecco Giorgio Calcaterra …). Alla fine, per tornare alla base ho arrancato per poco più di 21 km, confermando la saggezza popolare. Quando si fa il passo più lungo della gamba, la velleità sopravanza la realtà. Ed i fatti  lo certificano.

Una delle poche note positive? Il rientro alle 12 mi ha permesso di pranzare con la figliuola. Almeno la Festa del papà è andata bene. Sul resto, invece, è bene calare un pietoso velo.

Le fondamenta sono crollate; dopo aver tolto le macerie, occorre scavare e rifare base e pilastri. Altrimenti sarà impossibile edificare.

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