Pensando al mondo analogico

Quelli che appartengono alla generazione dei “nativi digitali” sono nati già immersi in un ambiente più semplificato. Devono faticare di meno perché ci sono degli strumenti predisposti per risolver loro i problemi. Noi che, invece, apparteniamo alla vecchia guardia, qualche sudata in più siamo stati costretti a farcela.

Chi non ricorda le interminabili “sessioni” telefoniche per ‘passarsi’ la versione di latino o il compito di matematica? (con i genitori pronti a tagliare i viveri in caso di successivo effetto incrementale sulla bolletta). Non vorrei ricordare le cassettone “Stereo 8” (che, onestamente, mi hanno preceduto), ma le ‘normali’ audiocassette super chromedioxide hanno segnato qualche bel momento, specie quando, ingarbugliate, andavano sapientemente srotolate con l’uso accorto della sezione ottagonale di una penna bic.

Vecchi ricordi, risvegliati da un serial (The Americans), in cui si racconta la storia di agenti del Direttorato S dell’ormai scomparso KGB.

La nostra coppia, infiltrata in America, simula in tutto e per tutto l’americano medio, nel mentre opera sotto traccia. Le cabine telefoniche, i codici trasmessi dalle radio numeriche, le caselle postali, la crittografia artigianale.

Nessuno ricorda più che, per fare un appostamento, era necessario stare ore “occultati” in attesa dell’obiettivo (con un controllo “a vista”). Ai giorni nostri si monta una micro web cam e dal computer di casa (o, meglio, dal telefonino), si segue l’evoluzione degli eventi. Se serve un controllo di “area vasta”, i satelliti militari sono lì apposta per questo, con la possibilità di “inquadrare” nitidamente cosa ci sia scritto su uno scontrino abbandonato in strada.

Non serve neppure la prossimità per recare un irreversibile pregiudizio. Basta mandare un quadricottero (voi li conoscete come “droni” ), con un minuscolo pezzo di semtex ed il gioco è fatto.

Altri tempi.

In un racconto di Stefano Benni, “numeri” (che trovate anche on line, letto dall’autore), si evidenzia come la “classificazione” che ci riguarda ci sta spersonalizzando. Certo, ci aiuta a non dover cercare una cabina telefonica (ed un gettone) o a dover ricordare a memoria i numeri dei conoscenti ma, al contempo, ci toglie altre facoltà.

La prima è l’autosufficienza (come quella di saper fare calcoli senza alcun ausilio…), la seconda è la curiosità. La mancanza di fonti informative immediatamente accessibili, rendeva irresistibile la “caccia” alla soluzione/spiegazione. Ciò probabilmente rendeva irreversibile una acquisizione che era costata tempo e fatica, perché vi era stata una pulsione/stimolo sufficientemente forte per trovare il bandolo della intricata matassa.

Oggi che tutto è a disposizione di un click, semplicemente, non gli dedichiamo neppure un momento: tanto è lì (ma dove?). Sicché, non solo non si supera la soglia dei primi dieci risultati del “search” di google, ma neppure si “esplora” un mondo dove l’avventura è veramente alla portata di tutti. Ai miei tempi di giovane ricercatore, volevo sapere se Internet era tutta lì (o qui) e le risultanze sono state molto più interessanti delle aspettative. Avevo scoperto le cartografie digitali e, soprattutto, il Dark (o Deep) web. Ma sono in pochi a saperlo, a dispetto della conoscenza divenuta “globale”.

Per fortuna ancora qualcosa è rimasta fisiologicamente nel mondo analogico. Prendete, per esempio, la nostra attività di podisti. Su Internet c’è tutto (consigli, tabelle, blog, foto, gare, risultati, questa rubrica, etc.) ma ciò non è sufficiente a sostituire il fatto che, poi, si debba faticare per davvero. A dispetto del nostro cronografo satellitare, la corsa non la fa lui, ma noi. Abbiamo aumentato la “condivisione” e la conoscenza di questo mondo che, però, è rimasto umano. Molto umano, per fortuna.

Spero che sia veramente così in quanto – per qualcuno – l’ansia di “apparire” ha creato degli alter-ego, con le nostre esatte fattezze ma privi dei nostri reali difetti. Sicché pure l’attività podistica tende a distaccarsi dal mondo fisico per diventare null’altro che un mezzo per avere una “esistenza” in un altro mondo, in cui sublimare un super-corpo, fatto per essere “condiviso” da altri esseri che hanno tutto, tranne la realtà.

Confido, dunque, che i successi, le sconfitte, il sudore, la gioia, …, seppur condivisi, restino una faccenda del tutto “personale” rispetto alla quale il digitale deve fare un passo indietro e lasciare al vecchio mondo analogico registrare il tutto.

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