Noi abbiamo una curiosa pretesa che è quella di voler attribuire a “qualcosa” qualità intrinseche di cui noi stessi non abbiamo alcuna concreta cognizione. Ormai, non si parla altro che di due fenomeni. Il primo è l’Intelligenza artificiale (IA), l’altro è il Metaverso. Sul secondo ho qualche fondata riserva che non sia altro che una bufala di dimensioni colossali, ma per nulla buona come quelle di Battipaglia.
Sull’IA, al contrario, nutro qualche legittima aspettativa se non si voglia credere che sia sufficiente conoscere “tutto” (cioè il “tutto” telematizzato) per essere migliori di chi sa molto meno. La differenza è il discernimento, la coscienza del sé che una macchina non potrà sviluppare – a meno di ibridarla con un essere umano – perché quello che ci appare come un “ragionamento” consiste, unicamente, in una abile operazione di mimesi. Anche un orologio rotto, due volte al giorno, segna l’ora corretta, eppure non è funzionante.
Il punto limite è costituito dalla scienza stessa che, nel suo percorso millenario, non ha trovato (né si sa se accadrà) le leggi che regolano la natura (e l’Universo) e che possono essere “codificate” per poter dare “la” risposta ad ogni domanda.
L’esempio di scuola che viene sempre riportato è legato al “paradosso del mentitore”, sviluppato a partire dalla seguente affermazione: questa frase è falsa. Il dilemma è semplicemente irrisolvibile perché se affermasse la verità, la frase sarebbe falsa. Al contempo, se fosse davvero falsa, non direbbe la verità e, quindi, sarebbe vera. Insomma, se fosse vera, sarebbe falsa; se fosse falsa, sarebbe vera.
La frase non è conseguentemente definita e la sua ambiguità, nonostante la correttezza dal punto di vista della sintassi, non ci porta da nessuna parte. Per la soluzione, nelle numerose teorie disponibili, qualcuno ha prospettato che detta frase non sia vera o falsa in assoluto, ma solo relativamente a un certo momento storico. In altre parole, non è possibile che una frase sia vera o falsa nello stesso torno di tempo, prospettando una soluzione molto simile alla logica della fisica quantistica.
Lo stesso dilemma concettuale si determina, in alcune ipotesi, in cui la “e” o la “o” possono essere sia congiuntive che disgiuntive, cambiando radicalmente le conseguenze della frase stessa.
Di fronte a questi problemi si scontra la programmazione delle IA (o le regole del suo “apprendimento”), posto che nessun cervello umano (e quanto meno quello elettronico-digitale) è in grado di creare un sistema matematico (che, poi, è la base dell’informatica) che sia, al tempo stesso, completo e libero da paradossi. Secondo il teorema dell’incompletezza di Gödel, non vi sarebbe alcuna certezza della veridicità di tutte le affermazioni contenute in un sistema che, conseguentemente, giungerebbe ad un punto (paradossale, per inciso) in cui nonostante ipotizzasse affermazioni “vere”, la sua certezza non potrebbe essere né dimostrata né confutata.
La questione, a farla breve, consiste nel fatto che noi siamo dotati di un’altra logica che parte proprio dalla presenza – ed ammissibilità – di paradossi ed antinomie. Basti por mente (è il caso di dire), per es., a quanto le valutazioni su valori etici, fideistici, etc. , nonostante la loro razionalità piuttosto limitata, ci rendono molto più empatici, di una sorta di Proto-Divinità al quale crediamo di aver consegnato le chiavi di una “Teoria del tutto”, dalla quale poi trarre il sistema di misurazione dell’essere umano. Ed ecco il vero paradosso, l’idea che un Non-umano possa definire l’umano.
Probabilmente non sapremo mai come andrà a finire. Siamo umani, in fin dei conti: non possiamo sapere tutto. E, poi, perché?
Il compito non è tanto di vedere ciò che nessun’altro ha ancora visto; ma pensare ciò che nessun’altro ha ancora pensato riguardo a quello che chiunque vede (E. Schrödinger).
[Riferimento: M. Clark, I paradossi dalla A alla Z, Milano, 2004]