Profumi, che passione

Tra i tanti difetti che mi contraddistinguono c’è sicuramente la curiosità. Ed è notorio che la curiosità ha ucciso il gatto. Uno dei miei ambiti, da qualche annetto, è costituito dai profumi.

Il mondo dei profumi comprende un insieme che, non solo affascina, ma richiede qualche analisi più approfondita. Ne voglio sapere di più.

La maggior parte se ne va in profumeria, “sniffa” qualche boccetta e, se piace, decide se investire una somma non proprio irrisoria per soddisfare il vezzo (o la necessità) di occultare il nostro vero odore ed assumere la veste olfattiva che ci sembra rispecchiare maggiormente il nostro essere. O forse, ci piace e basta.

Una storia, come visto, sintetizzabile in poche parole. Soltanto che, a mio avviso, non è sufficiente.

Inizia un viaggio per quelli, come me, che non hanno nulla da fare, alla ricerca del “perché” e del “come”.

Dalla piramide olfattiva, al creatore (c.d. “naso”), alle materie prime, alla durata, alla scia, al packaging, al produttore, al costo, ogni anfratto di questo mondo è pieno di sorprese.

Una di queste è costituita dalla costante – e fastidiosa – riformulazione dei profumi, nonostante mantengano il loro “nome” commerciale.

Tra i tanti esempi ne cito solo due: Dior Homme e Cool Water di Davidoff. Concettualmente sono agli antipodi. Il primo è un “legnoso” muschiato; il secondo è un “acquatico” aromatico. Peccato che siano entrambi alla terza riformulazione, perdendo per strada molto dell’appeal originario. Ricordano i predecessori ma non sono gli stessi. Sicché per il Dior si va alla caccia della versione 2007, neppure si trattasse del Bolgheri della Tenuta dell’Ornellaia. In qualche caso la riformulazione dipende dalla reperibilità delle essenze (quando sono “vere” e non chimiche. Un caso per tutti: i profumi di Tom Ford, donde il prezzo proibitivo), in tutti gli altri da mero marketing e dalla scarsa memoria olfattiva di cui disponiamo.

Poi c’è un altro fenomeno detestabile: la mancata corrispondenza delle (legittime) aspettative salendo sulla scala della gradazione della fragranza. Dall’Eau de Cologne (EdC), si passa all’Eau de Toilette (EdT), all’Eau de Parfum (EdF), al Parfum, per finire all’estratto (Extrait).

Mettiamo che vi garbi un profumo che è un capolavoro unanimemente riconosciuto (Encre Noire). Un EdT “esoterico” segnato dall’incontro tra le note oscure del vetiver e quelle resinose del cipresso. Un aroma d’altri tempi, gotico, decadente e crepuscolare, che vi riporta subito alla terra, alle radici, alle foglie morte, nel sottobosco dopo una lunga pioggia. Purtroppo ha una persistenza troppo bassa e, pur facendoci la doccia, come un ectoplasma si dilegua in un paio d’ore.

Subito comprate la versione – Eau de Parfum – che credete “potenziata” (Encre Noire A L’extreme) e scoprite che non assomiglia neppure per sbaglio alla versione “base”. Effetti nefasti della pigrizia di non voler dare un nome nuovo a qualcosa che è profondamente diverso da quello che, ragionevolmente, ci si può attendere.

Dalla teoria alla pratica. Effettuo lunghissimi appostamenti – su siti specializzati – per ingannare il loro sistema di “classificazione” dei clienti e con l’uso spregiudicato dei cookies (attraverso i quali mi faccio volontariamente “seguire” nelle peregrinazioni mirate sul web) tanto insisto finché posso definire il mio “vero” prezzo di acquisto. In sostanza, la curiosità non è fine a sé stessa, ma serve ad inquadrare i termini della questione e ricavarne delle conclusioni. Dieci mesi di continui “appostamenti” per entrare in possesso di un nuovo profumo evocativo: legno affumicato, rum, castagne e whisky. Il focolare di una baita di montagna, in una notte d’inverno, dentro una boccetta.

Un mondo affascinante che, a prima vista (o primo olfatto), sembra una mera banalità. Se provate a cercare la classifica dei profumi più venduti al mondo, più o meno appare condivisibile, ma appena provate a cercare “I dieci profumi più buoni al mondo”, ogni sito ha la sua classifica. Tutto giusto, posto che, a ben vedere, “buono” non significa proprio nulla. “Venduto” è un dato oggettivo; “buono” un dato soggettivo. Ed, infatti, ognuno ha la sua “classifica”.

Molte assonanze con il contesto podistico. A parte le questioni olfattive, sulle quali è meglio soprassedere, sui termini “assoluti” non possiamo che essere d’accordo. Sul resto, al contrario, è tutto discutibile. Applicando i propri parametri viene un risultato; applicando i tuoi, ne viene un altro. “Parametri” è la chiave di lettura che la saggezza napoletana aveva compreso da tempo: ogni scarrafone

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