Alla prima pioggia, si corre. Poteva accadere nel mese di settembre, invece è successo ieri. Quattro goccine timide son cadute giù a ristorare un ambiente riarso ed esausto. Ovviamente, quando la pioggia è insufficiente non fa che aumentare l’umidità e, quindi, i benefici attesi sono minimali.
In ogni caso, mollate le pantofole ci si incammina, alla meno peggio, in quel della Caffarella. In questo periodo, la strada è quasi totalmente sgombra (non so se sia lo stesso alle 5 della mattina): i nostri simili sono giustamente in vacanza.
Il “fermo” per il podista è deleterio. Con la velocità prossima a quella di un crostaceo, le movenze sono impacciate. Tutta la “struttura” cigola vistosamente, soprattutto dopo il primo chilometro – all’insegna di smaccato entusiasmo – corso alla ragguardevole velocità di 5,50 min/km.
Ho il fondato sospetto che sia troppo faticoso anche il solo pensare di poter tornare a velocità più sostenute. E’ subito pronta la scusa: chi corre le maratone non ha bisogno di velocità ma di resistenza. Tutti sanno che, anche se sembra ragionevole, la precedente affermazione è falsa come una moneta da 3 euro. La resistenza si acquisisce anche con la velocità; anzi, il poter “cambiare marcia” all’occorrenza è quanto di più utile ci sia sulle lunghe distanze.
Ma non c’è bugiardo migliore di noi quando parliamo a noi stessi. Infatti, chi ci potrebbe smentire?
Solo che, poi, ne tocchiamo con mano gli effetti. Se nelle gare brevi, in qualche modo, ci caviamo d’impaccio attingendo al “mestiere”, nelle gare lunghe, il conto è destinato ad arrivare troppo presto, spesso appena dopo la prima portata. E l’importo è ben salato.
Insomma, si ricomincia. Da qualche parte arriveremo… al momento, più poi che prima.