Il rito maori. Mito e realtà

Avevo promesso di raccontarvi del rito maori. Così potete inquadrare correttamente la versione “Arancione”.

La notorietà di questa danza, com’è risaputo, nasce dall’utilizzo, prima delle gare, da parte della (formidabile) squadra neozelandese degli All Blacks, della versione c.d. “Ka Mate”. Si tratta, per inciso, dei soli legittimati ad utilizzarla senza dover corrispondere i diritti per la proprietà intellettuale che è stata riconosciuta ai maori.

Anticamente era una danza finalizzata a comunicare aggressività e potenza, come dimostra la gestualità di braccia, gambe e volto (occhi spalancati e lingua di fuori a chiudere). Oltre ai tatuaggi che, per la verità, “mostrano” – realizzati da un tatuatore “autorizzato” dal clan – l’albero genealogico e non costituiscono affatto un mero vezzo di natura estetica, come credono gli sciocchi che, alle nostre latitudini, si istoriano con disegni maori solo perché li hanno visti a Dwayne Johnson (che, di origini samoane, ha il “diritto” di indossarli).

Poi, però, l’Haka ha assunto una valenza rituale del tutto scissa da questioni belliche (altrimenti da secoli doveva essere abbandonata), a testimoniare la gioia di vivere e lo “spirito” del respiro. “Haka” significa, infatti, “accendere il respiro”. L’afflato della vita è presente in tutte le culture a cominciare da quella indiana dei Veda, per passare a quella cinese, di poco successiva. Del resto, con un soffio entriamo in questo mondo e, con un ultimo soffio, passiamo all’altro.

Il respiro è connesso all’energia, sia in senso meramente fisiologico che dal lato emozionale. Mente e corpo sono (col)legati dal respiro, come sanno bene quelli che si dedicano alla meditazione, senza bisogno di indicarne una, ovvero alle arti marziali. Del resto anche i podisti sanno bene quanto sia importante respirare correttamente per assecondare il movimento.

Il rito maori, oggi, serve a esaltare la gioia di vivere, in armonia con noi stessi e con tutto quello che ci circonda. E’ una sorta di “ringraziamento”, circostanza evidenziata da un fatto emblematico. A guidare il rito non è il capo (né il giocatore più forte), ma la persona più anziana del gruppo, perché prevale la saggezza e l’esperienza, non il comando o la forza.

La persona più “matura” è quella che testimonia il passato e guida verso il futuro. Ed indica il futuro proprio perché conosce il passato, compresi gli errori commessi (e non solo le vittorie). I vivi ed i morti sono presenti e ballano insieme.

Certo a vederlo non si direbbe, ma la situazione è proprio quella descritta che, poi, è la medesima che potete apprezzare nella caratterizzazione degli Arancioni.

[Colonna sonora: Opus, Life is Life (Live); Milli Vanilli, Girl You Know It’s True (Extended Remix Version); Falco, Rock Me Amadeus (Max Steel the Whole Story Rework); Tears for Fears, Shout (Albert Manzinotto Remix); Howard Jones, Like To Get To Know You Well (International Mix)].

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