Salvatore Paolini

SALVATORE PAOLINI

 

Ho iniziato a correre alla fine degli anni ’70. Non perché mi piacesse in modo particolare ma semplicemente perché dormivo, e dormo anche oggi, molto poco: solo 5 talvolta appena 4 ore. In quegli anni abitavo a Roma, vicino Piazza S. Pietro. La corsa iniziava alle 5 del mattino. Due percorsi: Lungotevere fino a Porta Portese oppure fino a Piazza Venezia. Ricordo, in particolare, una domenica mattina d’inverno, era ancora buio e faceva freddo, Corso Vittorio Emanuele II era deserto. Al passaggio del 64 dell’ATAC ingaggiai una corsa con l’autobus. Vinse lui.
Da incosciente. Senza mezzi termini. Con quel semplice allenamento decisi di correre la 16ma Maratona di San Silvestro (l’antesignana dell’attuale Maratona di Roma). Era il 28 dicembre 1980. In quegli anni non erano richiesti certificati medici, né iscrizione alla Fidal o a società podistiche. Era aperta a tutti. Erano previsti tre traguardi: Km 10.500, Km 21.100, Km 42.195. Quale potevo scegliere io? Esatto proprio quello. Al Km. 17 ero sfiancato, al Km 25 volevo piangere, al Km 35 al posto delle gambe avevo due tronchi. Non finiva mai. Tornato a casa dormii per due ore e mezzo di fila. Avevo finalmente trovato la cura per l’insonnia. Alcune settimane fa, ho trovato l’ordine di arrivo di quella maratona. Il mio tempo l’ho reso pubblico (vedi la mia scheda). Per quanto riguarda il posto nella classifica d’arrivo non ve lo dirò mai, nemmeno sotto tortura. Teresa smettila di ridere!
Unooo??? Sono tanti, e ogni gara ne aggiunge di nuovi. Resto soprattutto colpito dai diversamente abili che nonostante la sfortuna non si rassegnano. Hanno dentro una voglia di vita e di riscatto unici.
Sono veri esempi di vita.
Ma ne vuoi proprio uno in particolare? Il pranzo di “matrimonio” orange a Colonna, dopo la gara: tranquillo e rilassante, una bella giornata, proprio un bel ricordo.
Tempo perso...! Salta alla prossima domanda.
Né grattatine, né segni della croce, né oggetti mistici. Il destino non lo cambi in questo modo. A fine corsa ho solo un vecchio asciugamano che era del corredo di mia madre, lo porto più per ricordo che per altro. Ciao Mamma.
Ma quale animale, direi piuttosto una bestia. Ma io domando e dico: come si fa in gara a fermarsi solo perché chi mi stava vicino si era fermato!? È successo in un paio di gare e non deve più accadere. Vuoi proprio sapere l’animale specifico? … Mm… una lumaca per 9750 metri ma un “panterone” negli ultimi 50. Grrr. Va bene così?
Mi capita SEMPRE! A ogni inizio gara penso: “Ma chi me lo fa fare? Restituisci la canotta orange e molla tutto. I tuoi tempi sono quelli lì. Che vuoi dimostrare? Sei solo un supplì che corre. Scrivi un bell’articolo smielato di addio, saluta Fausto, tutto il gruppo e buonanotte ai suonatori”. Ma poi ripenso al pettorale numero 177, a quella meravigliosa vittoria, all’emozione che ho regalato agli abitanti di Colonna. Quando tutti i dubbi e le paure si sono sciolti in un mare di certezze, guardo negli occhi il mio autista e: “Accendi i motori piccola, ho un traguardo da tagliare”.
Ma chi? Io?... Benché Teresa stia ancora ridendo, la mia unica maratona la dice lunga sulla mia volontà. Quando mi attacco il pettorale o è traguardo o è ambulanza. Tertium non datum est. (Non esiste una terza opzione, NDC)
Oh Dio! E qui facciamo mezzanotte. Al di là delle ovvie considerazioni legate allo sport e alla salute, aggiungo la sfida con me stesso, il fascino della scommessa, il rischio di fallire nell’impresa, la voglia di rimettersi di nuovo in gioco alle soglie dei 50, la determinazione e la volontà di inseguire e raggiungere un nuovo record personale per poi spostare di nuovo il limite un po’ più in là e dopo, con il traguardo alle spalle, sentirmi migliore dentro. E poi, ormai mi sembra chiaro, l’opportunità di scrivere.
Finora ho sempre scritto articoli scientifici o relazioni tecniche per motivi di lavoro ma qui è diverso, qui scrivo per il solo piacere di scrivere. Ogni volta che condivido i miei ricordi e le sensazioni provate in gara, è come correre e divertirsi per la seconda volta; rivivo la giornata al rallentatore, dando spazio e voce agli “ultimi” orange, quelli silenziosi, quelli che non mollano mai, quelli che sono vincenti anche da perdenti e che sono sempre lì, tenaci, fino al traguardo, per divertirsi e per il solo piacere di correre. Aggiungo infine che concordo pienamente con la poetica e delicatissima Cristina (D’Angiolini) quando scrive che: “la corsa è il mio pensatoio personale” .
Beata te Cristì, io in gara me ritrovo sempre vicino Ramiro che chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera … Ah Ramì a ogni gara me fai ‘na capoccia come ‘n cocomero.
Cheeee? 42 Km con Ramiro?? Ma che siamo impazziti?!
Ciao Ramirone, io scherzo sempre lo sai! Scherzi a parte, questa è una brutta domanda. Sembra una pietra tombale sopra il cassetto dei desideri quindi rispondo come voglio io! Vorrei correre di nuovo un’altra maratona, anche da incosciente perché no? Quale in particolare? Quella di New York e poi Roma ma dopo l’impresa di Franco (Scaramella) anche quella di Berlino sotto la pioggia, quella nel deserto come Teresa (Cannuccia … ancora stai ridendo???), quella di Sharm el Sheik così dopo mi sbrago al sole, e poi quella di Venezia così dopo vado per ombre e bàcari e poi... e poi … e poi ci vediamo in gara per la solita 10 Km! Ciao!

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