Vivere e Morire a L.A.

Mentre Reagan presenta la sua riforma fiscale, una coppia male assortita di detective dei Servizi segreti indaga su un falsario: Eric Masters.

In questo film, del 1985, è tutto veloce. I salti dal ponte in bungee jumping, gli inseguimenti contromano, la stampa delle banconote contraffatte, la musica “frenetica” dei Wang Chung.

Il tema, oltre la velocità, è proprio la falsità. A partire dalle banconote (fabbricate da veri falsari), ai sentimenti dei protagonisti, al loro “genere” di appartenenza, Friedkin (per chi non lo sa, è il regista del Braccio violento della legge, l’Esorcista e Crusing), disegna Los Angeles come una terra di nessuno, bruciata dal sole,  regolata solo dal cinismo e dalla violenza.

Una (non) città fatta principalmente di strade, di ponti di metallo, di ghetti, di bettole piene di gente ubriaca in pieno giorno, di case brutte o squallidi motel con la moquette in terra. In questo scenario, i protagonisti, sono dichiaratamente gender fluid, da William Petersen, a Willem Defoe, alla compagna di quest’ultimo, Debra Feuer (la vedete in foto).

E’ il poliziesco “emblematico” e “definitivo” degli anni ’80 (come Manhunter di Mann lo è sul tema dell’”entrare in testa al serial killer”), con quel pizzico di realismo che fa morire il protagonista principale, con una fucilata in faccia, prima della fine del film. Vivi veloce e muori altrettanto velocemente.

Ma, alla fine, il “novizio” impara la lezione: per fare la frittata occorre rompere le uova, diventando molto simile ai criminali che si cerca di arrestare o fare fuori (il che, praticamente, è la stessa cosa). E tutto torna daccapo. In una terra in cui tutto è fluido, lo diventano anche le regole del gioco.

– Ho un amico a Palm Springs, Benny Green, è il proprietario dell’Oasis, lo conoscete?

– Io ho un amico ad Hollywood, Paperino, lo conosce?

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